Navigare in un libro significa addentrarsi in una dimensione parallela, una zona franca ove tutto è possibile. Si diviene parte di un grande gioco nel quale il narratore utilizza ogni elemento a piacer suo, rimescola, mette, toglie, il tutto per tracciare, anche solo accennare a volte, una via attraverso la quale condurre il lettore.
Pensiamo a quanti diversi significati si possano attribuire al medesimo testo al di là delle iniziali intenzioni di chi lo ha scritto, a conferma del fatto che una narrazione prende una vita propria, dai colori e dai sapori sempre diversi, che dipendono dagli incontri che fa e dal
tempo in cui questo avviene.
Il tempo, nelle mani di chi scrive, è null’altro che una delle tante bagattelle con cui trastullarsi, una componente del gioco.
Tutti siamo abituati al decorso della vita, un giorno dopo l’altro, ognuno unico, irripetibile, perché dal
dopo mai è plausibile tornare al
prima, se non con i ricordi, e ogni attimo determina il successivo. Così si va avanti, su di una via obbligata.
Non è più così quando entriamo nella galassia della letteratura. Chi scrive può disporre anche del tempo, a suo piacimento. Viene dunque spezzato il suo inevitabile defluire, ed è proprio l’interruzione di questa linearità a farci smarrire e ad affascinarci, destando in noi quel misto di timore e magia che accompagna chi perde la rotta prevista. Quante grandi scoperte sono state determinate proprio dall’
essersi perduti?
Leggere è entrare nella tana del coniglio che ci proietta verso quel mondo fantastico di cui raccontò Lewis Carroll in
Le Avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie. Tutto diventa verosimile. Un attimo può essere l’eternità, o viceversa, un’intera vita può essere raccolta in un solo gesto, in uno sguardo. Si può partire dalla fine per poi saltellare avanti e indietro negli anni quasi fossimo cosmonauti che galleggiano nello spazio in assenza di gravità. Sia chiaro, questa perdita di un
centro di gravità permanente - giusto per indulgere ancora al gusto della citazione - rappresenta una gran fatica per il lettore. Il tempo, con il suo prevedibile scorrere, è una scia luminosa che ci aiuta a orientarci in una storia. Privati di questo riferimento siamo costretti a trovare altri appigli per scoprire il sentiero che ci porti a destinazione, perché l’arrivo in un libro non necessariamente coincide con l’ultima pagina, ancor più non è lo stesso per tutti i lettori.
Capita che la porta di ingresso di una storia, la tana del coniglio, sia proprio il suo epilogo. E questo già ci lascia interdetti. Non sappiamo quali fatti abbiano determinato quell’esito, quindi istintivamente elucubriamo, formuliamo ipotesi, ci raffiguriamo un
prima che possa aver determinato quei fatti. Ma all’improvviso il perfido regista ci traghetta indietro in altre epoche, e le convinzioni che con fatica abbiamo costruito spesso si sgretolano, siamo costretti quindi a riprendere la bussola, ad acquisire confidenza con un nuovo percorso.
Anche quando tutto sembra fluire tranquillo, prevedibile, ecco che torna a manifestarsi il sadico estro dello scrittore a scaraventarci fuori dalla nostra zona di
comfort. Proprio quando abbiamo preso le misure, quando i giorni si susseguono l’uno dopo l’altro, giriamo avidi le pagine, ardiamo di curiosità nel sapere chi mai incontrerà quella donna al ristorante, o cosa conterrà quella missiva inattesa che il nostro personaggio ha ricevuto, ecco che ci ritroviamo altrove, in un altro momento, nel quale fatichiamo a raccapezzarci. Dobbiamo reprimere la tentazione di sfogliare le pagine due a due per appagare le nostre iniziali curiosità, rassegnandoci ben presto al fatto che altra possibilità non abbiamo che non quella di arrenderci alla volontà dell’autore, e di goderne, confidando che questa fatica venga ripagata. Esiste forse un maratoneta che non sconti la propria passione con lo sforzo? Lo stesso scrittore,
deus ex machina delle nostre sofferenze, non ha forse momenti di frustrazione e scoramento ogni volta che tenta di dar forma a ciò che vuol raccontare?
Cosa sarebbe quindi un libro laddove il tempo tornasse a essere ciò che è in realtà, lineare, misurabile, prevedibile. Ne saremmo di certo rassicurati, la nostra lettura sarebbe più agevole, con meno scossoni. Ma non sarebbe tutto più scontato? Noioso? Non c’è già la vita per quello?
Paolo Montagna