Soffermiamoci sul rapporto che si crea fra chi scrive e i suoi lettori. Sempre che un rapporto si crei, il che rappresenta il fine ultimo per coloro che non scrivono solo per se stessi e il proprio cassetto, ma che hanno bisogno di destinatari, al di là dei quali la scrittura apparirebbe per loro una sorta di onanismo intellettuale.
È un rapporto intermediato, asincrono. Non ci si trova davanti a una birra o un bicchiere di vino a rimbalzarsi idee e opinioni. Chi scrive lo fa in una sua dimensione temporale, forse materializzando il proprio lettore ideale, ma i lettori sono simili alle scatole di cioccolatini di
Forrest Gump, non sai mai cosa ti tocca, impossibile immaginarli tutti, e leggono in momenti diversi, lontani, diluiti. Ancora oggi ci capita di legger cose che non abbiamo vissuto, che non esistono più, di cui non sospetteremmo neanche l’esistenza se qualcuno non si fosse preso la briga di affidarle alle pagine di un libro. Il lettore ne diventa il proprietario di quelle storie che vagano senza età, le incontra anche solo per caso, ma capita poi le faccia sue. E questa è una precisa responsabilità che chi scrive deve sentire su di sé, il fatto che ciò che racconta, nato chi lo sa come e perché, possa accompagnare negli anni persone che lui non conosce, in epoche che non sono più le sue, stimolando riflessioni, decisioni, comportamenti. In quanti casi quelle pagine vergate di inchiostro hanno creato convinzione verso l’una o l’altra strada nella vita di tutti noi, non perché quel percorso fosse tracciato, ma perché quella narrazione, al di là dei suoi reali intenti, ci ha portati a rovistare nella mente, a scompigliare i pensieri, condizionando infine il nostro comportamento.
Pur accettando tutto questo c’è però un peso che può divenire insopportabile per chiunque scriva storie, una responsabilità insostenibile per molti scrittori. È un onere che taluni lettori, inconsapevolmente crudeli, appioppano a ignari narratori, una sorta di spettro che gravita beffardo intorno alla narrazione, mi riferisco a lui, al
messaggio.
È forse insito nella natura umana attribuire a persone e cose, fra le più disparate, doti salvifiche. Ragion per cui è a elementi esterni che affidiamo a volte il compito di
salvarci. Del resto non è proprio a un messaggio in una bottiglia affidata alle onde che un naufrago affida la salvezza? Non è tramite quel messaggio che egli si attende che qualcuno arrivi a prelevarlo dall’angosciosa solitudine che lo imprigiona? Ma in questo caso è proprio l’autore del messaggio a cercar salvezza, per evidenti motivi.
Torniamo invece ai nostri libri.
Siamo proprio certi, da lettori, di non operare un’intollerabile violenza su chi scrive, volendo infilare a forza nella sua narrazione verità eterne o ricette per la salvezza del mondo?
Se leggiamo di un cane che morde mentre cercavamo di accarezzarlo, non necessariamente questo vuol raffigurare il male che è in noi che dobbiamo placare con la conoscenza interiore, è solo un cane, è probabile morda perché spaventato, tutto qui. Forse è proprio un desiderio di eternità e solennità che spinge molti di noi a leggere per sollevarsi dall’insostenibile banalità del quotidiano, ma questo nostro desiderio non può far diventare un cane che morde diverso da ciò che è. Pur con fatica dobbiamo accettare che il narratore non abbia cercato altro che non raccontare una storia, fatta di accadimenti e personaggi, e che questa sua rappresentazione di una realtà immaginaria ha il solo scopo di farci vivere una vita diversa dalla nostra, che ha senso per se stessa, non contiene ricette per la salvezza nostra o del mondo intero. Questo certo non vuol dire che un libro non possa salvarci, ma non avrà voluto farlo, non sarà questo il suo scopo. Non leggiamo per imparare, semmai leggendo scopriamo il sapere dell’autore, a noi il compito di impossessarcene e trasformarlo in un una scialuppa in grado di traghettarci verso la terra sicura. Perché un libro può essere molte cose, le più delle quali a sua insaputa, ma non per questo meno preziose, e quindi un libro può anche salvarci, anche se chi scrive non aveva la minima intenzione di farlo. Nella magia che può crearsi leggendo delle parole su carta c’è anche questo, non è chi mette il messaggio nella bottiglia a voler essere salvato, ma chi lo riceve.
Sono solo storie, spesso, quelle che leggiamo. Lasciamo abbaiare un cane, o miagolare un gatto, senza scervellarci su quale profonda verità la bestiola ci stia manifestando, non affibbiamole questa responsabilità. Vedremo poi, affrontando cani e gatti della nostra vita, se e quanto ciò che abbiamo letto verrà in nostro soccorso, ma la vita è piena di cani e gatti, che abbaiano o miagolano in modo diverso, e su ognuno di loro è forse possibile scrivere una storia.
Paolo Montagna
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