Alzi la mano chi, fra coloro che si dilettano di scrittura narrativa o d’altro tipo, non si è mai imbattuto in quello che può a ragione essere considerato uno dei più infidi nemici per chi scrive, il
come. Queste semplici quattro lettere, in quell’esatto ordine, non si limitano a dar vita a una parola, ma generano un autentico diavolo tentatore, destinato a esercitare su tutti noi che aspiriamo a raccontar storie il fascino malefico che la mela del giardino dell’Eden ebbe su Adamo ed Eva. Non esiste workshop, seminario o laboratorio di scrittura che non lanci accorati strali verso l’uso, quanto meno quello smodato, di questo vocabolo. Viene considerato alla stregua di una droga, ed è proprio per evitare di esserne assuefatti che c’è chi consiglia addirittura di esiliarlo dal proprio corredo lessicale, se non per sempre almeno per quel tempo che sia sufficiente per riuscire a farne un più parco uso in futuro.
È forse eccessivo tanto livore? Qual è veramente il danno che queste innocenti quattro lettere possono provocare ai nostri intenti letterari?
Mi avventuro in una spiegazione, consigliandovi fin d’ora di affidarvi in merito ad altre e più dotte trattazioni.
Il
come esercita il fascino della scorciatoia, destinata certamente a toglier strada dalle nostre scarpe e a salvarci dal fiato corto, ma anche a privarci anche di tutto ciò che quella parte di strada che abbiamo cancellato contiene. Non credete che l’estremo ricorso alle scorciatoie annullerebbe la stessa essenza del viaggio? Perché se consideriamo la narrazione un viaggio, le scorciatoie, fra cui il
come, lo tradiscono, lo privano di quelle sfumature che servono a renderlo indelebile nella memoria. Si viaggia per
essere in un luogo o per arrivarci? Non può essere proprio il cammino la motivazione più profonda di un viaggio?
Soffermarci su
L’insostenibile leggerezza dell’essere di Milan Kundera, il cui titolo ho ignobilmente parodiato, ci aiuta ancor di più a comprendere che il farla corta, il tirar dritto, porta a una assoluta perdita di
libido per la narrazione. Pensiamo all’intrico di coincidenze che determina l’incontro fra i due personaggi, Tereza e Tomas, attraverso il quale si evolve l’intera narrazione. Un medico malato che chiede a un collaboratore di sostituirlo per un’urgenza, la scelta di quest’ultimo di cenare proprio nel ristorante dove, a sua insaputa, lavora la paziente che ha visitato, la scintilla che nasce fra i due, pur abitanti di universi così lontani. Il valore stesso di quell’incontro sembra essere il risultato delle fatalità che lo hanno generato, ed è proprio quella imprevedibilità l’ingrediente essenziale per la magia di uno dei libri culto del nostro tempo.
Le strade dritte, senza intoppi e imprevisti, facilitano fuor di dubbio i tempi di percorrenza, ma siamo certi che chi legge voglia necessariamente “far presto”? Il nostro lettore vuol trovarsi davanti a una immagine definitiva e immodificabile di ciò che vogliamo raccontargli? Non ci viene il dubbio che espressioni del tipo “era bella
come il sole” privino chi ci legge di un diritto naturale che gli compete in quanto lettore, e cioè la possibilità di poter camminare con le proprie gambe all’interno della storia? Perché non possiamo scoprirla da soli la bellezza di quella donna invece di trovarcela davanti quasi fosse un assunto indiscutibile? E poi perché deve proprio essere bella come il sole, con la quantità di cose belle che il mondo ci offre?
Il
come è proprio questo, attingere all’esistente, a ciò che è stato già fatto, rendendolo inappellabile per il lettore, trasformando il racconto in un freddo verbale. La seduzione del
come ci impigrisce, ci toglie l’onere di stimolare l’immaginazione in coloro ai quali abbiamo deciso di raccontar qualcosa.
Ma non è finita qui, non basta rendersi conto delle insidie del come per liberarci di lui. Acquisire questa consapevolezza sarà solo l’inizio di quella che si rivelerà una lotta senza quartiere, ed è proprio in quel momento che la potenza demoniaca del nostro avversario si manifesterà in tutta la sua interezza. Passeremo ore, interi giorni intenti a sostituire un semplice
come con altre scelte espressive, ci troveremo a vagare annichiliti per territori inospitali e mai prima esplorati. Sebbene ci si guardi dal
come quasi fosse un appestato, esso comparirà a tradimento, contrariamente alla nostra stessa volontà. Ogni volta che scandaglieremo i nostri scritti, i moderni strumenti di ricerca non lasciano scampo, lo troveremo lì, infido, infigardo, irridente. Ci chiederemo chi ce lo ha messo, oppure chi o cosa abbia plagiato la nostra volontà per indurci a metterlo esattamente dove lo abbiamo trovato. E allora via con un nuovo doloroso arrovellarsi.
Mi sono appena reso conto che in un testo che vuole scoraggiare l’uso del
come l’ho usato dodici volte.
Mi ritiro per trovare un modo di parlarne senza citarlo.
Paolo Montagna