«Entrare in un luogo per insegnare è un gesto fisico. Porta con sé tutti i segnali del farlo: lo sguardo che velocemente conta i partecipanti e cerca di scavare nella memoria per capire se ci sono tutti, l’avanzare verso il posto dove ti siederai tradisce sempre un minimo di titubanza, di emozione, perché avere a che fare con gli altri emoziona e anche può richiamare antiche paure (sarò all’altezza? Certo che lo sei, sono almeno dieci anni che lo fai, ma ogni volta hai quel piccolo dubbio che ti mantiene all’erta…), le mani che appena seduto scorrono sul foglio, ne sentono il peso, la consistenza, la ruvidezza, i saluti che sono anche contatti, a volte strette di mano, altri, dopo lunga frequentazione, magari a fine corso, magari con persone che seguono il mio lavoro da anni, sono abbracci.
E nella stretta di mano e nell’abbraccio ci sono l’odore dei corpi, dello scambio, i profumi e i deodoranti per sentirsi a posto, la pelle che da lontano racconta di adrenalina, a volte di emozione o del piacere della rilassatezza, arrivano i sentori di tabacco e di caffè, degli abiti stirati di fresco, di quelli usciti dalla tintoria… Tutto questo, per me, è umanità. E poi il luogo dove la lezione si svolge, profuma di fiori a volte, odora altrimenti di chiuso, porta al naso la polvere dolce dei libri o quella tetra dei divani poco usati. Forse ho un amore eccessivo per il vivere a naso ma mi sento confortato da Friedrich Nietzsche che in
Ecce Homo scrive «Tutto il mio genio è nelle mie narici» e da Jean-Jacques Rousseau, che nell’
Emilio sostiene che l’olfatto sia il senso dell’immaginazione. E l'immaginazione è il primo fonte della felicità umana, ci ricorda Giacomo Leopardi nello
Zibaldone. Quindi sì, con l’immaginazione, tutto questo puoi proiettarlo nella lezione che – causa restrizioni di legge per motivi socio-sanitari – diventa necessariamente on line.
Sei lì, da solo, a parlare davanti al vetro del computer, guardando le miniature dei partecipanti. Saprai dirgli qualcosa di importante? Riusciranno a seguire con il telefono, il pc o l’aggeggio di turno?
Se ci riescono beati loro. Perché se c’è una cosa che ho imparato per me, personale, non necessariamente condivisa o condivisibile, è che non riesco a guardare i video, già dopo 30 secondi sbadiglio, anche se sono alle prese con le materie che mi interessano di più.
Comunque intravedo che seguono le lezioni, non si attorcigliano per tenere gli occhi aperti e un dignitoso contegno, fanno domande… Forse funziona. Dovrei essere di là, a fare il partecipante per capire, ma mi addormenterei mandando il me docente nel panico più totale.
Scopro che insegnare da remoto permette di ampliare all’infinito la platea di chi partecipa ai laboratori, risolve problemi di distanze, rende contente persone che hanno sempre trovato troppo lontani i luoghi dove tengo i laboratori di scrittura. Questo è bello.
Negli occhi degli studenti di sempre comincio a vedere anche la stanchezza, loro lo sanno che una lezione dal vivo è un’altra cosa. Questa è un po’ il surrogato della vita: piuttosto che niente è meglio piuttosto.
Vantaggi per l’insegnante: non deve fare, nel mio caso, noiose trasferte fino a Milano; può infilare camicia e giacca e lasciare il resto di sé in pigiama e pantofole.
Svantaggi: quando chiudi lo schermo del portatile lo sai, siamo diventati un mondo un po’ così. E non bastano una doccia calda e un bicchiere di vino a farti passare quella sensazione di assenza che ti si è depositata addosso.»
Michele Marziani