Si può davvero insegnare a scrivere? Domanda complicata, non c’è dubbio.
Nemmeno il maestro del racconto americano Raymond Carver ne era poi così sicuro. Eppure aveva insegnato per anni e con successo scrittura creativa. Ma proprio tra le pagine de
Il mestiere di scrivere, edito da Einaudi e curato da William L. Stull e Riccardo Duranti, che di Carver sono rispettivamente il biografo americano e uno dei traduttori italiani, ecco che, forse, si svela finalmente la fatidica risposta.
Attraverso una raccolta di saggi carveriani, la trascrizione di una lezione registrata su nastro e alcune testimonianze di chi Raymond lo ha conosciuto, Il mestiere di scrivere ci fa entrare in punta di piedi nella vita di Carver, permettendo un contatto profondo e quasi intimo con un uomo che non ha mai desiderato altro che scrivere e che insegue il suo sogno a dispetto di una vita di fatica, lavori umili e spesso sfibranti, la responsabilità soffocante di due figli avuti in giovane età, la difficoltà di non essere nato in un ambiente ricco o anche soltanto benestante e in grado di favorire lo studio. E ciononostante Raymond si rimbocca le maniche, studia, si laurea, insegna, e soprattutto scrive. Dimostrando chiaramente come anche il vissuto di un uomo sia fondamentale, più di tanti inutili trucchi o artifici retorici, per dare vita a quegli “influssi” capaci di forgiarne la scrittura rendendola viva, autentica.
Ma naturalmente la tecnica non deve mancare, o meglio lo stile. Perciò via il superfluo e attenzione alle parole, a quelle giuste.
E sempre con un velo di ironia e senza alcuna presunzione Carver racconta la dura arte dell’autodisciplina, dello scrivere ogni giorno, un poco per volta,anche quando il tempo è tiranno e la stanchezza opprimente, fino a ultimare un racconto, una poesia (romanzi no, è la concisione quella che gli si addice, il suo punto di forza).
E poi arriva la revisione, quel processo quasi perpetuo, infinito, quella ricerca della parola o perfino della punteggiatura più efficace essenziale per arrivare quanto più vicino possibile a sfiorare la perfezione.
Il Carver insegnante lo si ritrova invece nelle pagine dedicate alla trascrizione di una sua lezione di scrittura creativa, e quasi commuove l’attenzione certosina con la quale analizza i racconti dei suoi studenti, frase per frase, parola per parola, consigliando senza mai criticare,in un dialogo tra pari in cui tutti sono incoraggiati a esprimere la propria opinione e se c’è qualcuno che sembra mostrare timidezza è proprio lui, il professore. E allora pare quasi di sentirla, quella voce che si fa sempre più sommessa che descrive lo scrittore e ex allievo di Carver Jay McInerney, quel sussurro quasi impercettibile che costringeva all’ascolto e con cui Raymond sapeva incoraggiare chiunque, perché chissà che il talento del grande scrittore non si celi invece nello studente che appare mediocre.
A fine lettura si approda con un velo di commozione e con una risposta che forse è un sussurro, ma è incredibilmente chiara. Ben venga il talento, ma da solo non basta. A scrivere si impara, e a volte qualcuno ci insegna. Tant’è che il libro si conclude con cinquanta esercizi di scrittura creativa modellati su alcuni racconti di Carver. Utili linee guida per chi rimpiange di non aver avuto il privilegio di sedere tra gli allievi del maestro,o semplicemente una sfida divertente per mettersi alla prova.
a cura di Irene Piumini