Conosco Minny da poco. Ma l’intesa c’è stata sin da subito e così quando mi ha proposto di collaborare a questo sito web ho aderito molto volentieri. Mi piacciono i progetti collettivi.
Allora ho iniziato a pensare a quale valore aggiunto avrei potuto portare a questo nuovo blog, che si auspica avrà un pubblico vasto, in termini anche di caratteristiche dei ‘buyer personas’, come dicono quelli bravi.
Faccio una premessa, non sono una scrittrice, di quelle che pubblicano libri, insomma. Però grazie a una mia caratteristica, trovo congeniale l’arte del portare su fogli word sensazioni, emozioni e situazioni, quando ne ho voglia.
Mi piace osservare le persone e costruirci storie sopra. Da bambina lo chiamavo il Gioco dell’Acquario. Era ed è sempre stato il mio passatempo preferito.
Capirete come questo gioco aiuti molto, nel momento in cui si debba creare un personaggio.
Facciamo una prova pratica.
Immaginate di essere in un luogo pieno di persone. Un vagone di metropolitana, per esempio, o un attraversamento pedonale, al mattino, di un giorno lavorativo. Guardatevi intorno.
Li vedete quei visi? Quei corpi? Schegge pure di vita, sguardi che raccontano di abissi, e vette da ascoltare, da far agire e interagire. Se vi piace scrivere, questo gioco vi ecciterà da morire.
Di solito prediligo le persone con gli occhi stanchi. Possono essere donne, uomini. Ordinati, o sciatti. Gli occhi stanchi non graziano nessuno. Sono laghetti profondi, in cui io sguazzo, pescando tutto quello che mi stimola l’insieme. E inventando, soprattutto. Il gioco non viene altrettanto bene se si fa con chi conosciamo, a meno che non volessimo raccontare la sua vita.
Sono spesso persone con un particolare insolito e discordante. Immaginate una donna, vestita e truccata con molta cura. Magari un po’ eccessiva. Con un mollettone fissato malamente nei capelli, di quelli di plastica, senza pretese, che usano le parrucchiere per farti la piega. Fuori luogo, non trovate?
Sarà uscita di fretta... chissà dove va? E anche la testa va, mentre svolgo la mia giornata, penso e ripenso a quella donna. Che diventa un personaggio.
Si chiama Carmela, ma si fa chiamare Carmen per darsi un tono. Un’immagine di sé che la allontani dalla sua essenza. Come quella tinta biondo grano, vecchia e dilavata su radici nere come la notte.
Il trucco non è poi così perfetto, a ben guardare. Sbava un po’, lì, sugli angoli degli occhi torbidi, sfatti.
Sta attraversando la strada su tacchi sproporzionati per andare a far spesa alla Lidl, perché è da lì che viene, lo dice il sacchetto che porta con fastidio con la mano sinistra. I leggins leopardati non le donano, ma non è un problema per lei. Che non la guardassero, se pensino faccia schifo.
Un ciuffo di rape spunta dalla sporta. Cena solitaria, una come lei al suo uomo le rape non le cucinerebbe mai.
Se solo l‘avesse, un uomo.
Carmen è la protagonista di una storia che si potrebbe chiamare ‘Rape e kajal’. La storia si dipana intorno a quel viso, diventa concreta come una pietra dura posizionata nell’esofago. Va espletata e descritta. Quante cose potrei far fare a Carmen!
Tutto questo a me viene naturale, e ovviamente mi piace da morire, sennò non lo praticherei regolarmente da circa quarant’anni. Peccato, se fossi stata più ordinata e metodica avrei decine di racconti a disposizione.
Attenzione, questo gioco ha delle controindicazioni. Ce ne sono alcune che potrebbero indisporvi. Ad esempio sentirsi progressivamente più a proprio agio nel mondo parallelo da voi creato, Per me però non è poi così male. Non mi piace il mondo in cui vivo. Mi piacciono poche persone ‘reali’.
Un altro effetto collaterale è l’idealizzazione delle nuove conoscenze. Questo è molto più fastidioso, e mi ha creato non pochi problemi. Perché succede che ad un certo punto, dolorosa, la realtà esce. E non è mai splendente e perfetta come il personaggio nella mia testa. Ma non sono qui per dire di me, io – anche – sono un personaggio.
Ma dov’è Carmen, adesso?
La mettiamo davanti a uno specchio. Sfinita, si è buttata sul letto, appena entrata nel sottotetto umido e tetro che l’agenzia ha definito ‘graziosa mansarda’, quando ha scucito le tre mensilità anticipate. Giusto un quarto d’ora per riposare la schiena che urla il suo disappunto. Terrà gli occhi
chiusi giusto pochi minuti.
Del resto non è più una ragazzina, da tempo il medico poi le ha detto di darsi una regolata, se non vuole che il cuore scoppi.
Ecco il perché delle rape maledette, che odia da sempre. In offerta, chiaramente.
Adesso però, mi piacerebbe creare una connessione, con chi avrà la bontà di leggermi.
Mi piacerebbe, per esempio, sapere come vorreste che continui, questo flusso di pensieri nato da un
gioco infantile.
La racconto io la storia di Carmen?
O lo facciamo insieme?
Può anche succedere che la nostra conoscenza si concluda qui. Mi piacerebbe però sapere cosa ne pensate.
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Sono Maybe Occam su Facebook, ma non è il mio vero nome.
Un saluto a voi, che la curiosità vi accompagni.
Maybe Occam
Foto: Andrew Seaman - Unsplash