Fruttero & Lucentini sono forse la coppia più famosa di scrittura a quattro mani della letteratura italiana. La citazione è tratta da
I ferri del mestiere. Manuale involontario di scrittura con esercizi svolti, scritto da loro ed edito da Einaudi nel 2003, e l’ho scelta per quel ripetersi della parola “schizofrenia” che mi pare si adatti piuttosto bene a questa tecnica di scrittura. Perché il fatto che vi siano autori famosi che vi ricorrano con successo – anche Sveva Casati Modignani è uno pseudonimo dietro cui si è celata, per certo numero di anni, una coppia di scrittori – non significa affatto che sia semplice. Anzi!
Nel mio peregrinare nella scrittura, ho avuto modo di sperimentare anche questa fattispecie. Non esistono pubblicazioni a opera “Mairani & Co.” e già dovrebbe bastare a mostrarvi che il tentativo non ha avuto buon esito, ma siccome scrivere solo dei successi e mai dei fallimenti pare non sia politicamente corretto, racconterò questa storia.
Nel 2015 conosco, durante un laboratorio, un aspirante scrittore appassionato – come me – di narrativa di genere. Iniziamo a scambiarci consigli di lettura, poi io gli faccio leggere alcuni racconti, lui i primi due capitoli di un work in progress, e alla fine ci complimentiamo reciprocamente per i felici risultati. La condivisione di gusti e di intenti c’è, e anche il desiderio di mettersi alla prova su territori nuovi. In più abbiamo in mente entrambi due personaggi a cui dare forma: lui un personaggio maschile, io un personaggio femminile. Decidiamo di “provare a fare qualcosa insieme”: una narrazione con il mio personaggio e il suo a confrontarsi su un piano comune, per coglierne le possibili evoluzioni. In realtà i nostri stili sono molto diversi, e questo avrebbe dovuto essere un campanellino d’allarme. Lui una scrittura “muscolare”, carica di aggettivi e avverbi, che punta all’effetto spettacolare. Io una scrittura più asciutta e di dettaglio: dire meno per dirlo meglio. A ragionarci un po’ sopra era evidente che avremmo trovato degli ostacoli, meno scontato che saremmo riusciti a superarli.
Sulla trama ci troviamo subito d’accordo: essendo frequentatori del fantastico e dell’horror, pensiamo che una bella storia fantasy sia quello che ci serve. Stendiamo le nostre brave schede personaggi e incontriamo la prima difficoltà: identificare il protagonista. I personaggi di punta sono due, e svilupparli in eguale misura sembra complicato. Deve esserci un focus, e quel focus deve essere su un personaggio ben preciso. La scelta non è facile e comporta qualche rinuncia: alla fine si opta per il personaggio maschile, nell’utopistica convinzione che ci sarà un “numero due” nel quale dare più risalto alla controparte femminile.
Le difficoltà più rilevanti, però, sono quelle legate allo stile. Ci diamo un metodo: un capitolo a testa e revisioni incrociate. Ciò significa che lui scrive e io correggo, poi scrivo io e corregge lui. Un’impresa titanica: non riusciamo ad armonizzare gli stili, la narrazione procede sulle montagne russe, sembriamo Proust e Hemingway che decidono di sbronzarsi insieme per scrivere il capitolo di un romanzo di Stephen King. Le correzioni sono passeggiate funamboliche su corde tese sull’abisso. Entrambi timorosi di ferire la reciproca suscettibilità, usiamo giri di parole lunghissimi per evidenziare le manchevolezze – o presunte tali – della nostra narrazione. A me dispiace dirgli che a qualche madeleine si può anche rinunciare, a lui dispiace dirmi che trova il mio whiskey troppo asciutto e gli si secca il palato. La buona volontà ci porta a soluzioni intermedie, di cui però non siamo mai pienamente convinti, lo dimostra il fatto che ciascun capitolo vive innumerevoli revisioni, di cui teniamo il conto in articolate directory sui nostri pc.
Vista con gli occhi di oggi, credo che il problema fu sostanzialmente questo: non riuscimmo a creare, di noi stessi, un terzo scrittore. Non esisteva una lingua comune, ma solo due distinte che non sapevano – per inesperienza o per ostinato egocentrismo – fondersi in un unico linguaggio.
Per riuscire ci sarebbe voluto forse un passo avanti nella consapevolezza della scrittura come fine ultimo, e un passo indietro, l’uno rispetto all’altro.
Pian piano ciascuno ricominciò a coltivare progetti in solitaria: io mi avvicinai alla stesura del mio romanzo – di cui ho già raccontato la genesi – e lui si accorse che altri linguaggi artistici gli erano più congeniali. Esaurite le speranze sul progetto comune, non rimaneva altro da dirsi, e ci salutammo da buoni amici.
Forse, in uno dei molteplici universi paralleli che mi piace immaginare, esiste una realtà dove un fantasy rivoluzionario a quattro mani ha visto la luce, una major americana ne ha tratto un film campione di incassi, una scrittrice non più giovanissima – ma ancora affascinante – vive nelle Isole Eolie in una villetta circondata di ginestre e bouganville.
Francesca Mairani