Parecchi di noi vedono forse nel copiare qualcosa di meschino, di cui certo non vantarsi, memori in molti casi di furbizie scolastiche, quando sbirciavi da quello bravo seduto davanti a te che aveva versato sudore sui libri mentre tu te la spassavi, e magari scoprivi pure qualche errore che a lui era sfuggito, finendo per prendere un voto migliore del suo, pur senza alcun merito, se non quello della scaltrezza e della vista lunga.
Ma è sempre così? La copia è, senza eccezioni, solo una furbizia di cui non andar fieri? Per venire al nostro scopo, cosa significa
copiare nella scrittura narrativa?
Iniziamo dal chiederci se sia veramente possibile farlo.
Prendiamo, giusto a titolo di esempio, l’incipit di uno dei libri più famosi della storia della letteratura contemporanea,
Cent’anni di solitudine di Gabriel Garcia Marquez. Se non lo avete letto andate a comprarlo in una libreria, una di quelle dove ci sono i librai, oppure potete leggerlo
qui.
Ecco, è possibile copiarlo? È pensabile poter prendere quelle parole, miscelarle diversamente, quasi fossero ingredienti di una ricetta culinaria, e ottenerne qualcosa che sia anche solo in parte paragonabile a quell’atmosfera assolata, rarefatta, immobile che Marquez ha reso con quel passaggio? Come copiare la genialità del nuovo identificato dall’assenza di nomi da utilizzare per le cose, tanto da doverle indicare con un dito? Lo abbiamo davanti agli occhi Macondo, è lì che ci ha portati
Gabo, anche se non lo ha descritto. In quelle poche righe c’è poi un tempo che va dalla nascita alla morte, un’intera vita. È chiaro quindi che la
copia, come tradizionalmente viene intesa, nella scrittura narrativa non è cosa possibile. L’obiettivo di una narrazione non è paragonabile a quello di una dimostrazione matematica, unico, un numero, sempre uguale, sai dove devi arrivare, devi trovare il come, una via tracciata. Qui, al contrario, siamo in una terra di nessuno, dove certezze non ce ne sono, il risultato da raggiungere non è identificato e visibile, quasi ci stimolasse a trovare la strada per arrivare, è esso stesso frutto di alchimie misteriose.
Diamo ora un’occhiata all’etimologia della parola.
Un primo significato, dal latino, è quello di abbondanza, opulenza, con particolare riferimento a cose buone e positive.
Sempre il latino attribuisce poi al termine copia un ulteriore significato, quello di facoltà concessa di utilizzare una scrittura, la possibilità di trascriverla.
Secondo una mia personalissima interpretazione, l’etimologia appare quasi un’istigazione alla copia.
Cerco di spiegarmi nel disperato tentativo di non esser preso per pazzo.
Non credete che laddove sussista tale
abbondanza di meraviglia a nostra disposizione questo fatto stesso autorizzi il tentativo della copia, per quanto ciò sia possibile nella narrazione?
Atteso che è impossibile sgraffignare il
come Marquez ha realizzato quello scenario, quell’atmosfera, di cui al suo incipit, ci rimane solo da comprendere il
cosa ha realizzato, per tentare di replicarlo altrove trovando un
come che sia nostro, e che Dio ce la mandi buona.
Detto questo, copiare nella scrittura perde quell’alone di meschinità che siamo abituati ad attribuirgli in contesti diversi, diventa, al contrario, un’attività indispensabile. Essa coincide con l’imparare, il comprendere. Se leggiamo con l’intento dell’apprendimento, allora potremo cogliere
cosa fanno i grandi, che riescono a metterti un luogo immaginario davanti agli occhi, pur senza averlo posizionato su di una carta geografica o in un tempo, senza averlo neanche descritto, se non per qualche dettaglio, irrilevante agli occhi di un osservatore distratto, ma questo compie la magia di materializzarlo quel posto. Scopriremo quanto sia vano il nostro sforzo di scodellare fiumi di parole per verbalizzare una situazione, invece di percorrere un silenzio fatto di poche cose ma giuste, dando vita a un’emozione nella mente di chi legge. Ci accorgeremo che puoi parlare di un gatto che cerca riparo dalla pioggia sotto un tavolino per dire di una coppia che è naufragata (cfr. Hemingway -
Gatto sotto la pioggia).
Se c’è quindi una conclusione cui si può giungere dopo questo arrovellamento, è che copiare è impossibile, quindi facciamolo pure senza remore, ma con l’attenzione di selezionare da chi copiare. Nel vano tentativo non è escluso finiremo per imparare qualcosa.
Paolo Montagna