Se tutti smettessero di scrivere romanzi, racconti, poesie ecc., certo perderemmo nuovi frammenti di bellezza, testimonianze importanti della vita, scorci di contemporaneo. Ci rimarrebbero però da leggere un'infinità di libri meravigliosi scritti nel passato, che hanno meritato di rimanere e che ci dicono cose decisive su noi stessi. Questo è il nodo: la letteratura ci parla di noi. Ci scioglie. Ci racconta quello che non ci siamo mai detti.
Perché i libri ci spiegano la nostra vita?
Perché «Il bello della letteratura è raccontare le storie di altri come se fossero nostre e le nostre come se fossero di altri» come dice il Nobel turco Oran Pamuk, nel suo
La valigia di mio padre. Raccontare le storie di altri come fossero le nostre e viceversa, crea un'empatia non diretta, schermata, riflessa, che non ci fa paura, che non ci uccide come lo sguardo della Medusa nel mito di Perseo. Perseo, ci ricorda Italo Calvino, ne
Le lezioni americane, nella lezione sulla leggerezza, uccide la Gorgone Medusa guardandola non negli occhi – facendolo morirebbe - ma vedendola riflessa nello scudo lucente. Solo così riesce a individuarla e a colpirla. Ma devi avere uno scudo. E lo scudo dev'essere lucente. Questo è il potere della letteratura. Tanto che, appunto, se smettessimo di scrivere ce la caveremmo in qualche modo, ma se al mondo tutti smettessero di leggere, sarebbe la fine.