Ma come, scrivere non doveva rappresentare la possibilità di vivere mille vite diverse, addirittura costruite a proprio piacimento? Non era la libertà di attraversare universi e mondi immaginari che mai si sarebbero incontrati nella realtà? Cos’è allora questa assurdità secondo cui si dovrebbe narrare di ciò che si conosce? Secondo questa bislacca teoria, laddove avessi deciso di raccontare la mia vita sul pianeta Papalla, dovrei prima esserci stato, e descriverlo così com’è, non come voglio io e l’ho sempre immaginato. E se viene fuori che Papalla non esiste, dove me ne vado io? Di cosa racconto?
Erano dunque tutte balle quelle secondo cui la
fantasia è l’unico propellente in grado di portarti ovunque?
Proviamo a fare un po’ di chiarezza, giusto per evitare una moria di aspiranti scrittori che, carta e penna alla mano, erano pronti a salpare per mondi immaginari.
Mettiamo tre carte sul tavolo: fantasia, menzogna e finzione.
Sono tre
fiches che hanno un ruolo primario nella narrazione.
La fantasia è quella caratteristica della mente che consente di creare immagini, siano esse corrispondenti o meno alla realtà. La finzione ne è il frutto, una simulazione, la capacità di essere regista di ciò che non esiste, se non nella propria fantasia appunto. La menzogna - cioè la cosciente trasfigurazione della verità - altro non è che il reagente che consente ai primi due elementi di dare i loro frutti. Se mi metto a raccontare della mia vita su Papalla, è del tutto evidente io stia mentendo. Ma raccontare storie non è e non può essere semplicemente mentire, la menzogna, a suo modo, è un’arte, richiede attitudine, talento.
Mettiamo allora in tavola un’
atout: la credibilità.
Consideriamo il più classico e nazional popolare degli esempi. Tutti da ragazzini abbiamo rubato della marmellata, chi nega è semplicemente perché non lo ricorda,
tutti i ragazzini rubano della marmellata, almeno una volta nella vita. E tutti i ragazzini vengono immancabilmente scoperti, tanto che viene da chiedersi perché continuino a rubarla, visto l’inevitabile fallimento dell’intento criminoso, ma non perdiamoci in inutili elucubrazioni.
È certo che quando i fatti sono stati accertati si sarà negato il furto. Ed Ecco il punto.
Nel procedere pervicaci alla negazione della realtà, di certo, almeno i più accorti, avranno evitato di trangugiare il maltolto in faccia all’inquirente, in genere la madre, i padri, per motivi che non stiamo a dire, appaiono molto meno interessati ai furti di marmellate. Si sarà tentato di apparire ignari passanti, rimuovendo tracce appiccicaticce che potessero rivelare la colpa. Benché la responsabilità verrà immancabilmente accertata, i processi domestici sono spesso sommari e non prevedono difesa per l’imputato, si tenterà pur sterilmente di risultare
credibili.
Mettendo da parte marmellate, conserve e confetture il fatto è che gli scrittori non ce la raccontano giusta.
Qualcuno forse ritiene che Isaac Asimov abbia assistito alle avventure di Elijah Baley, poliziotto newyorkese nato nel 4679 sulla terra per morire circa cent’anni dopo in un mondo lontano? Oltretutto collaboratore e amico di Daniel Olivaw, un robot umanoide. O magari si ritiene che Stephen King intrattenesse frequentazioni con Carrie White, graziosa ragazzina col trascurabile difetto di spostare e fare esplodere oggetti con la sola forza del pensiero, provocando immani disastri?
Fingono gli scrittori, mentono, ma lo fanno con rispetto. Sanno benissimo che il lettore è a conoscenza dei loro intenti truffaldini e non chiede altro che abbandonarsi alle spire della loro fantasia, quasi fosse un naufrago rassegnato a un destino inevitabile, ma questo deve avvenire con naturalezza. Poco importa che Asimov non abbia mai visitato mondi lontani e futuri, o che King non bazzichi mostri e creature demoniache, noi come lettori abbiamo solo bisogno di credere che ciò sia possibile, se vogliamo vivere vite che siano altro rispetto alla nostra non è in una farsa che vogliamo trovarci, ma in una realtà immaginaria, che può sembrare un controsenso ma non lo è. C’è un patto silenzioso, ma non per questo meno solenne, fra scrittore e lettore, in base al quale chi scrive è tenuto a un continuo barcamenarsi fra reale e irreale, che si alternano, si confondono. Se si scrive della realtà, se è il
vero a costituire il palcoscenico sul quale una storia si evolve, esso deve essere fedele a ciò che è, altrimenti il lettore sarebbe posto al cospetto della più brutale e pacchiana delle menzogne.
Laddove invece si voglia uscire dallo steccato dei fatti così come sono, ecco che il narratore deve essere accorto a calare l’atout della credibilità. Come tutte le carte che pesano va giocata al momento giusto, c’è un’unica
chance, perché il lettore è lì che aspetta, lo sa che non c’è niente di vero in quello che gli racconti, è in attesa di vedere come te la giochi. E dopo che il narratore avrà fatto la sua giocata è pronto a rispondergli, catalogherà ciò che ha letto, una farsa o un sogno. E questa è una giocata definitiva.
Paolo Montagna
disegno di Paolo Montagna